Anno d’apparizione: 2018
Superficie: 1284000 km2 | Popolazione: 14497000 |
Religione | Percentuali |
---|---|
Cristiani | 35.20 % |
Musulmani | 56.70 % |
Gruppi etno-religiosi | 7.10 % |
Altri | 1.00 % |
In base alla Costituzione del 14 aprile 1996, emendata nel 20051 e basata sul modello francese, il Ciad è una repubblica presidenziale con un sistema multipartitico, pur con tratti altamente autocratici2. La Costituzione del Paese è stata redatta dalla Conférence Nationale Souveraine (CNS, Conferenza Nazionale Sovrana) durante una fase transitoria durata tre anni. Il 31 gennaio 1996 è stata approvata tramite un referendum, nel quale la Carta ha raccolto il 61,5 percento di voti favorevoli. Tuttavia, il lavoro svolto dalla Conferenza Nazionale Sovrana nella redazione della legge fondamentale è stato reso più difficile dalle numerose problematiche legate ad un passato segnato da violenti conflitti.
Più tardi, nei primi anni 2000, il partito al governo, il Mouvement Patriotique du Salut (MPS, Movimento Patriottico per la Salvezza), ha cercato di modificare la Costituzione rimuovendo il limite di due mandati all’ufficio presidenziale. Il capo della formazione partitica, Idriss Déby, che è anche l’attuale Presidente del Paese, è al potere senza interruzione dal 1990. Nelle ultime elezioni presidenziali del 2016, è stato rieletto con quasi il 60 percento dei voti3, e la quasi totalità dei partiti di opposizione ha firmato una dichiarazione congiunta contro di lui.
Nonostante ciò, l’emendamento costituzionale è stato adottato dal Parlamento del Ciad nel maggio 2004 e ratificato tramite referendum il 6 giugno 2005. Accuse di frode elettorale sono state ripetutamente presentate durante il processo referendario e sono state ribadite anche negli anni a seguire.
L’emendamento costituzionale ha privato i ciadiani e l’opposizione di ogni speranza relativa alla possibilità di un cambiamento da parte del regime. Da allora vi sono stati ripetuti attacchi di ribelli e tentativi di colpi di Stato, anche da parte degli stessi esponenti del governo. Ad oggi tuttavia Déby, che si considera l'unico garante della stabilità e dello sviluppo, è stato in grado di respingere i suoi oppositori. L’attuale presidente intende continuare a governare il Ciad, insieme al suo partito, a tempo indefinito. Nel 2016, Déby si è nuovamente candidato dopo essere stato in carica per ben 25 anni, ma a differenza di quanto accaduto durante le elezioni del 2011, una larga maggioranza dell’opposizione non ha boicottato le elezioni.
L’articolo 1 della Costituzione del Ciad stabilisce il principio della laicità e la separazione tra Stato e religione4. L’articolo 5 proibisce qualsiasi propaganda che cerchi di impedire «l’unità nazionale o la laicità dello Stato», e ciò include la propaganda «di ... carattere religioso». In base all'articolo 14 lo Stato garantisce a tutti i cittadini «l’uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di origine, di razza, di sesso, di religione, di opinione politica o di posizione sociale»5. L’articolo 27 include la libertà di religione tra quelle libertà che possono essere limitate soltanto nell’interesse delle libertà e dei diritti degli altri, o nell’interesse dell’ordine pubblico e della morale. L’articolo 51 rende obbligatorio il servizio militare mentre l’articolo 54 recita: «Non si possono invocare credenze religiose o opinioni filosofiche per evitare un obbligo dettato dall’interesse nazionale». Di conseguenza non è consentita l’obiezione di coscienza al servizio militare, neanche per motivi religiosi6.
In linea con il principio di uno Stato laico, l’educazione religiosa è vietata nelle scuole pubbliche. I gruppi religiosi possono tuttavia gestire delle proprie scuole. È vietato indossare burka (o qualsiasi copricapo religioso che nasconda interamente il volto)7.
I diversi gruppi religiosi hanno generalmente buone relazioni in Ciad, in particolare nel sud del Paese. Delegazioni di musulmani e cristiani partecipano reciprocamente alle celebrazioni religiose e alle festività degli altri gruppi8.
Tuttavia, vi sono due fattori che hanno portato in più di un’occasione a tensioni, violenze o spargimenti di sangue. Il primo fattore riguarda la presenza di gruppi islamisti all’interno della popolazione musulmana del Ciad9. Il secondo è rappresentato dai combattenti jihadisti che sono giunti dall’estero nel tentativo di destabilizzare il Paese10.
Si pensa che fino al 10 percento dei musulmani ciadiani abbia tendenze islamiste e aderisca al salafismo o al wahhabismo11. Questi estremisti entrano ripetutamente in conflitto con i musulmani moderati12. L’assenza di salafiti nel Consiglio superiore per gli affari islamici istituito dal governo è considerata una problematica all’interno della locale comunità islamica13.
Il Forum regionale sul dialogo interreligioso, composto da rappresentanti della comunità islamica, delle Chiese protestanti e della Chiesa cattolica, si riunisce più volte l’anno per promuovere la tolleranza religiosa e combattere i pregiudizi nei confronti delle persone di altre fedi14.
Vi sono stati ripetuti scontri armati che hanno coinvolto l’organizzazione terroristica islamista Boko Haram, che opera in Nigeria e agisce in special modo nella regione intorno al lago Ciad. Questa regione è situata strategicamente tra quattro Paesi: Ciad, Nigeria, Niger e Camerun e costituisce un nascondiglio sicuro e facile da raggiungere per Boko Haram15. I suoi combattenti vivono sulle isole situate sul lato nigeriano, ma operano nella zona di confine e quindi possono penetrare con facilità nei Paesi confinanti e invadere i villaggi prima di ritirarsi nuovamente nelle rispettive isole16. Persone provenienti da Nigeria, Niger, Camerun e Ciad hanno trovato rifugio nella stessa regione, dopo essere fuggite dalla povertà o dal gruppo Boko Haram stesso. Si ritiene che circa 2,3 milioni di sfollati vivano nella regione del Lago Ciad al momento17.
Il Ciad e altri tre Paesi africani - Niger, Nigeria e Camerun – si sono uniti militarmente contro Boko Haram, schierando una forza totale di 9.000 soldati18. I combattimenti spesso causano numerose vittime19. Una dichiarazione dell’esercito ciadiano ha riferito di un’operazione delle sue truppe contro il gruppo terroristico in cinque isole nigeriane nel lago Ciad. Gli scontri con Boko Haram a fine giugno 2017 hanno provocato la morte di otto soldati ciadiani e 162 jihadisti.
Il 23 marzo 2018, 20 combattenti di Boko Haram sono stati uccisi nell’ambito di scontri con i soldati ciadiani20. Secondo l’esercito ciadiano, i combattimenti si sono svolti su un’isola nel lago Ciad. Un soldato ciadiano è stato ucciso e altri cinque sono rimasti feriti.
Padre Franco Martellozzo, un religioso gesuita che vive in Ciad da oltre 50 anni, afferma che, anche se Boko Haram non è molto diffuso nel Paese, l’estremismo militante è fonte di grande preoccupazione21. La diffusione transfrontaliera del terrorismo islamista rappresenta una particolare minaccia per i cristiani che vivono nella regione. Nell’ambito dell’attuale crisi, sottolinea il missionario, la comunità cattolica rimane fiduciosa e fornisce assistenza umana, spirituale e materiale «per soddisfare i bisogni della gente, in particolare dei più deboli e bisognosi»22.
In Ciad, la minaccia del jihadismo islamista non è l’unico fattore che ostacola l’esercizio del diritto alla libertà religiosa. La situazione è aggravata dalla povertà estrema. In effetti, secondo i vescovi cattolici del Ciad, il Paese affronta una grave crisi economica e sociale23.
A livello politico, i presuli lamentano della «mancanza di dialogo» tra il governo, l’opposizione, le istituzioni e la popolazione civile. Un elemento che pone «una seria minaccia alla democrazia». A livello economico, come nazione produttrice di petrolio, il Ciad fa affidamento sulle esportazioni per ottenere entrate. Tuttavia, sottolineano i vescovi cattolici, così facendo «il Paese ha perso la sua vocazione agricola e pastorale»24.
La cattiva gestione delle entrate petrolifere e il «drastico calo dei prezzi internazionali del petrolio» hanno mostrato, «come era prevedibile, la fragilità dell’economia». La mancanza di interesse nel settore agricolo, unita alla crescente desertificazione, ha portato a molti «conflitti sanguinari tra pastori e contadini, causando perdite umane e materiali»25.
All’inizio del 2018 i principali sindacati del Paese hanno indetto uno sciopero generale indefinito contro l’austerità del governo e i tagli ai salari dei dipendenti pubblici effettuati in seguito alle inferiori entrate petrolifere26. I sindacati hanno denunciato non soltanto i tagli ai salari, ma anche il divieto imposto alle manifestazioni pacifiche, e la repressione di queste da parte delle autorità. A tal proposito è stato ricordato come la polizia abbia interrotto alcune proteste studentesche che hanno avuto luogo nella capitale N’Djamena, utilizzando dei gas lacrimogeni. Circa 100 manifestanti sono stati arrestati in quell’occasione27.
In un contesto di forti tensioni sociali e politiche, come ha riferito padre Martellozzo28, la Chiesa cattolica in Ciad ha invitato la popolazione e le autorità a «contribuire al bene comune e al superamento della crisi, senza soccombere alla tentazione della violenza o della disperazione».
Ad aggravare la situazione è inoltre il problema ancora irrisolto dei rifugiati nel Ciad orientale, che confina con la regione lacerata dalla crisi del Darfur, in Sudan29. Secondo diversi rapporti, più di 400.000 profughi hanno trovato rifugio in 14 campi di questa parte del Sahel e dipendono dall’assistenza umanitaria. I campi sono diventati permanenti. Gestiti dall’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), sono finanziati quasi esclusivamente dall’Unione europea.
A meno che le condizioni economiche e materiali della popolazione in Ciad non cambino, non ci si può attendere che la situazione della libertà religiosa possa migliorare.