Anno d’apparizione: 2018
Superficie: 302073 km2 | Popolazione: 59801000 |
Religione | Percentuali |
---|---|
Cristiani | 78.30 % |
Musulmani | 2.70 % |
Atei | 3.70 % |
Agnostici | 14.50 % |
Altri | 0.80 % |
La legislazione italiana in materia garantisce la libertà religiosa e di credo, riconoscendo questo come un diritto fondamentale. L’articolo 3 della Costituzione esprime il principio di non discriminazione per motivi religiosi, affermando che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali»1. L’articolo 19 garantisce il diritto dell’individuo di professare «la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
Per quanto concerne le relazioni fra lo Stato e le confessioni religiose, l’Italia costituisce un esempio di “laicità positiva” in quanto, pur essendo uno Stato laico, quello italiano riconosce il valore delle religioni e tutela la libertà di fede e il pluralismo religioso. L’articolo 8 della Carta assicura che «tutte le confessioni religiose siano egualmente libere davanti alla legge».
L’Italia non ha religione di Stato, ma il Cattolicesimo è la religione della maggior parte dei cittadini italiani. L’articolo 7 della Costituzione afferma che lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono indipendenti e sovrani e i Patti Lateranensi del 1929, modificati nel 1984, governano le loro relazioni. Il governo consente alla Chiesa cattolica di selezionare gli insegnanti che tengono corsi di educazione religiosa nelle scuole statali.
Le relazioni tra lo Stato e le denominazioni diverse dal Cattolicesimo sono regolate dalla legge, sulla base di intese con le rispettive organizzazioni religiose. Prima di fare domanda per stipulare tale accordo, l’organizzazione non cattolica deve essere riconosciuta come avente personalità giuridica dal Ministero dell’Interno, in conformità con la legge n. 1159 del 24 giugno 1929 sulle “disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”. La richiesta viene quindi presentata all’Ufficio del Presidente del Consiglio dei Ministri. Un’intesa garantisce ai ministri della religione in questione il diritto automatico di accesso agli ospedali statali, alle prigioni e alle caserme militari; consente la registrazione civile dei matrimoni di rito religioso; facilita le pratiche religiose speciali riguardanti i funerali; esonera inoltre gli studenti dalla frequenza scolastica durante le festività religiose. Qualsiasi gruppo religioso senza un accordo può comunque richiedere questi benefici al Ministero dell’Interno, che valuterà le richieste caso per caso. Un’intesa consente anche a un gruppo religioso di ricevere fondi raccolti dallo Stato attraverso il cosiddetto “otto per mille”, una quota (0,8 percento) di imposta sul reddito annuale dei contribuenti.
Dodici denominazioni non cattoliche hanno un’intesa con lo Stato italiano, mentre un accordo con i testimoni di Geova è in corso di negoziazione dal 1997.
Non è stata stipulata invece un’intesa con la comunità islamica, nonostante questa rappresenti il maggiore gruppo religioso non cristiano in Italia e nonostante il fatto che il 32,6 percento della popolazione immigrata sia musulmana2. La mancanza di un accordo deriva dall’assenza di una leadership islamica ufficialmente riconosciuta, con facoltà di negoziare un’intesa con il governo. Ciononostante, il Ministero dell’Interno italiano ha cercato di affrontare le questioni relative all’Islam creando il “Consiglio per l’Islam italiano” nel 2005 ed elaborando sia la “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione”, nel 2007, che la “Dichiarazione di intenti per una Federazione dell’Islam italiano”, nel 2008, e istituendo nel 2010 il “Comitato per l’Islam italiano”, che ha elaborato pareri sui nodi critici più significativi.
Nel 2016 il “Consiglio per i rapporti con l’Islam italiano” è stato istituito dal Ministero dell’Interno, il quale nel febbraio 2017 ha inoltre firmato, assieme ai rappresentanti delle principali associazioni musulmane italiane, il “Patto nazionale per un islam italiano”3.
Nel 2017, nell’ambito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, è stato istituito l’Osservatorio sulle minoranze religiose nel mondo e sul rispetto della libertà religiosa4. L’attività dell’Osservatorio rientra nell’ambito della politica estera italiana in favore della protezione e della promozione della libertà religiosa.
La comunità cattolica ha più volte espresso inquietudine riguardo al diffuso sentimento anticlericale e alla promozione di valori anticristiani. I cattolici sono spesso criticati quando esprimono pubblicamente le loro opinioni su questioni di interesse sociale ed etico come l’aborto, il matrimonio gay e l’eutanasia.
Durante il periodo in esame, i cattolici hanno manifestato particolare preoccupazione nei confronti di un disegno di legge disciplinante il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (Dat). La legge, approvata il 14 dicembre 2017, permette di redigere dichiarazioni riguardanti situazioni future di compromissione della propria salute, con l’indicazione vincolante per il medico di non praticare alcuna terapia, ovvero di sospenderla.
Molte voci, anche all’interno della Chiesa, hanno criticato la norma e in particolare il fatto che essa non preveda l’obiezione di coscienza in favore del medico che, avendo la ragionevole convinzione di fare il bene del paziente e in mancanza di un suo attuale e consapevole dissenso, si trovi vincolato a dare attuazione a disposizioni di morte risalenti a un contesto del tutto differente. Una mancanza evidenziata anche dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, il quale ha dichiarato che: «Una delle carenze di questa legge è che non prevede l’obiezione di coscienza da parte di medici, operatori sanitari e istituzioni cattoliche»5. In risposta a una interrogazione urgente dell’on. Alessandro Pagano (Lega), il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin ha riconosciuto l’esistenza del problema, in assoluto e in particolare per le strutture sanitarie di ispirazione religiosa, e ha assicurato l’attivazione di un tavolo con i rappresentanti di queste ultime ma, al momento della stesura di questo Rapporto, nulla è stato fatto al riguardo.
Particolarmente apprezzata, dalla comunità cattolica e dall’opinione pubblica in generale, è stata la decisione del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2018, di concedere la cittadinanza italiana al bambino britannico Alfie Evans, per poter consentire al piccolo malato terminale di essere trasferito presso l’ospedale pediatrico vaticano Bambino Gesù. Il Centro Studi Livatino, un gruppo di giuristi che studia temi riguardanti il diritto alla vita, la famiglia e la libertà religiosa, ha definito l’azione del governo italiano «un gesto di coraggio e di civiltà»6.
Un acceso dibattito ha seguito invece la rimozione ordinata dal comune di Roma di un grande poster anti-aborto raffigurante un feto di 11 settimane nel grembo materno. Il poster, rimosso il 5 aprile 2018, era stato affisso pochi giorni prima dall’associazione pro-life Pro Vita ed aveva causato numerose proteste da parte di attivisti pro-aborto, inclusi alcuni esponenti politici7.
Nel luglio 2017, il comune di Roma aveva invece rimosso alcuni poster che ritraevano Gesù Cristo come un pedofilo e la Vergine Maria incinta a causa della maternità surrogata8.
Nel periodo in esame non sono mancati episodi di profanazioni di chiese e statue o immagini sacre, nonché furti di reliquie. Il 10 marzo 2018, nella città di Sant’Angelo Lodigiano, è stata trovata decapitata una statua della Vergine Maria9. A Castelnuovo Don Bosco, l’urna contenente il cervello di San Giovanni Bosco è stata rubata dalla Basilica salesiana nella notte del 2 giugno 2017. Il colpevole è stato successivamente arrestato10. Nel marzo 2018, una statua della Vergine Maria è stata rubata dal Parco dei Martiri a Roma11.
La comunità musulmana ha lamentato l’esistenza di una discriminazione sociale nei confronti dei fedeli islamici ed in particolare contro le donne musulmane che indossano l’hijab12. Nadia Bouzekri, presidente dell’associazione Giovani musulmani in Italia, ha dichiarato di essere stata insultata da un dipendente dell’aeroporto di Orio al Serio perché si era rifiutata di rimuovere il suo hijab di fronte ad altre persone13.
Un’indagine del Pew Research Center classifica l’Italia al secondo posto su 10 Paesi europei per pregiudizi contro i musulmani e afferma che il 69 percento degli italiani ha una visione negativa dei fedeli musulmani14. Un Rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) ha anche osservato persistenti pregiudizi anti-islamici all’interno della società italiana15.
È difficile valutare se il pregiudizio sia motivato dall’appartenenza religiosa o, più probabilmente, correlato ad un sentimento anti-immigrazione diffuso tra la popolazione, la quale percepisce i migranti come prevalentemente islamici. Inoltre, in molti casi, i musulmani vengono identificati con i terroristi islamici e sono considerati potenzialmente pericolosi. Lo ha notato anche la Commissione Jo Cox sull’odio, l’intolleranza, la xenofobia e il razzismo istituita dalla Camera dei Deputati italiana16. La relazione finale della commissione ha confermato alti livelli di pregiudizio e disinformazione in Italia, con forme diffuse di intolleranza religiosa e discriminazione. Secondo il Rapporto, il 40 percento degli italiani ritiene che i migranti non cristiani rappresentino una minaccia per la loro società. Inoltre, mentre il 26,9 percento si oppone alla costruzione di edifici per le religioni non cristiane, la percentuale di quanti sono contrari all’edificazione di moschee sale al 41,1 percento17.
Un fenomeno che l’Italia dovrà sicuramente affrontare nel prossimo futuro è il rischio di radicalizzazione dei detenuti musulmani reclusi nelle carceri italiane. Nel suo XIV Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, l’Associazione Antigone per i diritti dei detenuti ha osservato che il numero di carcerati a rischio di radicalizzazione è aumentato del 72 percento nel 201718.
Nel giugno 2016 la comunità ebraica italiana ha accolto con favore l’approvazione della legge n. 115 che rende un crimine la negazione della Shoah. Tuttavia, secondo l’Osservatorio sull’antisemitismo, negli ultimi due anni in Italia vi sono stati al tempo stesso circa 215 episodi antisemiti. Nella maggior parte dei casi si è trattato di attacchi antisemiti perpetrati online, tra cui un post su Facebook di un sindaco del Nord Italia, che ha insultato il popolo ebraico in occasione della Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto19 e le posizioni antisemite espresse da un senatore del Movimento Cinque Stelle20.
Nell’ottobre 2017, i tifosi della squadra di calcio Lazio hanno distribuito figurine di Anna Frank con la maglia della squadra rivale, la Roma, accompagnate da slogan quali «I fan della Roma sono ebrei»21.
Sono inoltre stati segnalati diversi casi di vandalismo, come la distruzione di una lapide commemorativa dell’Olocausto ad Arezzo nel gennaio 201822 e il furto di due stolperstein23 (o “pietre d’inciampo”) a Collegno24 e a Venezia25.
La massiccia immigrazione costringe il governo italiano a gestire la crescita delle comunità religiose non cristiane e soprattutto dell’Islam la cui presenza, secondo uno studio del Pew Research Center, aumenterà costantemente, fino a raggiungere l’8,3 percento della popolazione nel 205026.
Il rischio di radicalizzazione dei detenuti è una questione delicata da affrontare, insieme agli atteggiamenti antisemiti e al diritto dei cattolici di affermare le proprie opinioni nella sfera pubblica. L’azione più strutturata di contenimento della radicalizzazione violenta è condotta in Italia dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Tra i detenuti è elevata la presenza di cittadini stranieri e molto significativa è la porzione di oriundi dal Maghreb e dalla Nigeria. Questi detenuti sommavano 7.56527 persone su 58.28528 detenuti totali, al 30 aprile 2018. Tale concentrazione ha offerto opportunità di radicalizzazioni violente, sebbene le strutture specializzate del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria abbiano rilevato il fenomeno e iniziato già da alcuni anni a controllare le manifestazioni, a contenere la diffusione e a compiere analisi e ricerche sia nazionali che internazionali volte alla prognosi e alla cura del fenomeno. A tutto il personale viene impartito uno specifico insegnamento sul tema del contrasto alla radicalizzazione violenta e al correlato proselitismo.